Riflessi del nostro tempo
Luciano Caprile
Raccontare la contemporaneità può rivelarsi un esercizio di quotidiana e poco impegnativa abitudine se ci si sofferma sulla patina superficiale dell'esistenza. Più complesso è lo scavo da compiersi sotto la scorza dell'apparenza. Il compito dell'artista che non intende accontentarsi del semplice e magari accattivante involucro delle cose, delle persone e degli eventi che scivolano sui giorni e sulle ore è proprio questo: cercare di capire quel che succede veramente della nostra vita magari avvalendosi del viatico di una immediata facilità di racconto. Emilio Crotti segue nei suoi dipinti tale linea che prevede una parcellizzazione delle immagini e una loro ricostruzione per tasselli, per scaglie sovrapposte o giustapposte a rivelare la fatica psicologica di una composizione che in qualche misura inquina l'evidenza.
Infatti queste opere ostentano di primo acchitto quell'apparenza che si vorrebbe esorcizzare: i volti delle belle ragazze effigiate sembrano usciti dalle tante copertine delle tante riviste patinate esibite dalle edicole o dai cartelloni pubblicitari che seducono lo sguardo; inoltre certi scorci di paesaggi o di scene con persone paiono tratti più dalla fuga nel sogno che dal conforto della realtà.
Invece, superato, il primo momento della captazione visiva, ci si accorge che tale clima idilliaco e che tale perfezione formale (perchè, occorre dirlo subito, Crotti è un propugnatore di quella che si chiama generalmente "bella pittura") subiscono un inatteso e traumatico inquinamento. È come se i pensieri della gente e i loro disagi interiori uscissero allo scoperto per manifestarsi sulla tela al pari di una seconda pelle o, nel caso degli sfondi e dei paesaggi, è come se una germinazione spontanea e incisiva di sensazioni che diventano concrete, perfino tattili, invadessero compiutamente lo spazio.
Addirittura negli ultimi due anni un simile processo di contaminazione ha subito una incisiva evoluzione con la presenza di elementi simbolici ricorrenti e di parole che assumono il ruolo sempre più marcato ed evidente di memoria, di testimonianza, di ossessione.
A tal punto ciò che è sembrata una palese contraddizione dialettica diventa una denuncia impressa sulla carne, su una parete o nell'aria al pari di un insistente tatuaggio, di un graffito che non cancella l'ordine compositivo ma lo fa volgere verso una meditazione di quella ricercata bellezza che traspare dietro la patina della riflessione.
Un pò come succede alle rughe che incidono i volti delle persone o anche alle rughe tracciate dal trascorrere del tempo sui muri o sulle cose che da lontano vengono assorbite o annullate dalla visione d'insieme, mentre da vicino trasmettono i molteplici significati di una singolare storia esistenziale.
Emilio Crotti predilige alcuni soggetti che ricorrono con puntuale perseveranza e che aiutano anche a scandire lo svolgimento dell'ispirazione. Innanzitutto i ritratti, come si è detto, che servono da seducente specchio per una lettura interiore. "Sospesi pensieri" e "Pensieri sospesi" del 2006 formano per esempio un ideale dittico, ovvero due momenti espressivi del medesimo volto di fanciulla che riversano il tumulto delle emozioni sulle stelle, sulle farfalle che scivolano su una ciocca bionda e da qui sull'incarnato, sull'azzurro-cielo del vestito.
Sono emozioni che diventano parole compiute, frasi sussurrate, marchiature nostalgiche proprio in "Emozioni", quindi in "Remember", in "Io Amo la Musica", di "in mente sempre love", materializzate da una sequenza trascinante di "baby ... baby ... baby", di "kiss my love" che scritte così, sembrerebbero l'emblema della banalità amorosa e invece, nella loro formulazione plastica (a rincorrere un bagliore nei capelli o a mimare lo smarrimento di una lacrima), conquistano il ruolo del disagio espressivo.
Se in tale clima introduciamo il tema del carnevale e lo ambientiamo a Venezia, non si va a toccare il culmine del kitsch ma si va ad aggiungere nostalgia alla nostalgia, rimpianto al rimpianto. In "Magica Venezia" e "In maschera a Venezia" si frantuma in solide pennellate timbriche la cartolina della Chiesa della Salute che cresce sul fondo mentre il cielo, la laguna e il Pierrot subiscono il precipizio delle citazioni oniriche. E il medesimo canovaccio si rinnova con "Venezia in maschera", con "Magia a Venezia", con "Venezia magica" in un variabile e illusorio tripudio di gondole, di travestimenti e di panorami.
Altro tema coinvolgente riguarda il mondo della danza e della musica che coniuga il piacere della fuga nel sogno, nel desiderio e nel desiderio del sogno (che può ribaltarsi nel sogno del desiderio) con la conquista di una nuova armonia di gesti. Idealmente è la ragazza di "Io amo la musica" a trasformarsi nella sinuosa ballerina di Bolero dopo aver suscitato la passione del suo compagno di danza. In questa sequenza filmica si perviene a "Nota su nota", a "Mandolino", a "Mille note" per giungere al recentissimo "Note blu", ovvero a una serie di immagini che hanno una caratteristica in comune: le suonatrici sono bellissime donne, sirene che affidano alle melodie dei loro strumenti un messaggio di grazia e di amore.
Come si può vedere sembra che un sottile filo conduttore leghi i vari passi delle vicende narrate: è il desiderio di non smarrire il contatto col ricordo, è il desiderio di fermare il momento della nostalgia che così si materializza in un segno, in fantasma ricorrente o nel fragile mattone che insieme agli altri tiene in piedi il significato più vero e più recondito di ciò che ci viene elargito dal dipinto. Ma se fino a questo punto la presenza umana appariva come l'elemento trainante e insostituibile nelle trame di Emilio Crotti, ecco proporsi invece a un certo punto una nutrita presenza di scorci di città, di una città in particolare, quella di New York ricca di seduzioni visive, di possibilità interpretative d'ampio respiro.
Infatti i variegati tasselli dei grattacieli, uniti alle teorie delle automobili o alla dispersione cromaticamente parcellizzata della gente, diventano elementi costitutivi, essenziali della costruzione del nostro autore tanto da entrare con naturalezza nella sua poetica. Tanto "Marciapiedi di New York" quanto "Mille luci" o "New York Cola" costituiscono sotto tale aspetto esempi quanto mai efficaci. Il primo quadro viene risolto da una folla che si dissolve in coriandoli multicolori sul fondo della strada, nella dispersione delle foglie di un albero; il secondo e il terzo trovano un felice pretesto esecutivo nella ricorrente pubblicità che ormai scandisce e inonda la vita di ogni metropoli. Crotti adegua le sue regole creative a tale realtà senza alcuna forzatura perchè la frammentazione e la ricostruzione del suo universo pittorico si specchiano perfettamente nella quotidiana frammentazione e ricostruzione della vita cittadina proiettata verso un accelerato, talora parossistico divenire.
Infatti gli scorci di "New York Rabbit" e di "New York Kodak" appartengono ormai al nostro sguardo e alla nostra città ovunque essa sia. Le insistite pennellate del nostro autore tendono proprio a evidenziare il clamore pirotecnico di una simile realtà che annulla le persone, le fa apparire come parte dell'arredo urbano, come pedine in perenne transito esistenziale.
E allora ? Qualche volta viene voglia di fuggire. Per farlo Crotti libera i suoi puledri in corse sfrenate: "Guado blu", "Criniere selvagge", "Nati per correre" sono titoli che profumano di libertà, di rivincita, di orizzonti infiniti. Questa esigenza di rivincita dalle regole comportamentali della vita vengono da lui affidate agli zoccoli che calpestano l'acqua per tradurla in schegge di luce o la si lega alle criniere agitate dal vento.
Per andare dove ? Per puntare verso un possibile orizzonte dove far riposare la fantasia, dove il respiro non teme di incontrare subdole contaminazioni. Alcune scritte che caratterizzano il cielo e i corpi di "Nati per correre" sono citazioni di luoghi idealizzati in cui stemperare ogni senso di quotidiana costrizione: "Far West", "Maremma, steppa, prateria", "Colorado, canyon, tundra". La nostra vacanza mentale corre anch'essa lì, in quella pittura di rivincita che Emilio Crotti dispensa a piene mani per accontentare lo sguardo e lo spirito prima che vengano annegati nel caos della ricorrente e alienante New York che ci compete.
08/09/2007